A trent’anni esatti di distanza dalla scomparsa di Eugenio Montale, cosa dire, in prima persona? Che molto mi ha insegnato il grande poeta ligure, quand’ero un giovane in cerca della mia identità poetica. I suoi OSSI DI SEPPIA, per essere più precisi, mi hanno educato -credo di potere affermare- al distacco rispetto al “bello” letterario; in una parola sola, al rifiuto della retorica (quella cattiva, perlomeno). Superfluo evidenziare, all’interno del suddetto primo grande libro montaliano, la forza dirompente di “Meriggiare pallido e assorto“, lirica concepita da un giovanissimo e geniale fabbro di una lingua poetica inaudita (per i cialtroneschi e roboanti tempi in cui essa venne alla luce). Occorrerà accennare poi alla meravigliosa sezione dei Mottetti, inclusa nel secondo grande libro, LE OCCASIONI; sezione magistralmente commentata da Dante Isella. Molte sarebbero le cose da ricordare a proposito del poeta a conti fatti più importante del nostro Novecento letterario, premio Nobel nel 1975; basterà richiamare qui l’attenzione sul recentissimo libro di Maria Luisa Spaziani, MONTALE E LA VOLPE, Mondadori; ossia Montale visto da vicino, da parte di colei che è stata legata al poeta da una lunga e affettuosa amicizia. La foto qua sopra, infine, mia, scattata a suo tempo nei pressi di Genova, intende richiamare alla memoria del visitatore del blog una famosa lirica di Montale (sempre all’interno delle OCCASIONI) dal titolo La casa dei doganieri, di rara forza evocativa. Onore a Eugenio Montale, dunque; maestro dell’impegno morale e signore della parola; Montale che moriva la sera del 12 settembre 1981 a Milano: dopo Dante e Leopardi, il poeta da cui più ho imparato soprattutto in quanto ad asciuttezza e modernità del dettato poetico.
Amico caro,
ti ringrazio per questo tributo a Eugenio Montale, che ha segnato il tuo cammino di poeta ed è stato didattico per molti di noi.
“Meriggiare pallido e assorto” era la lirica che si imparava a scuola… Io ho avuto la fortuna di assorbirla tra le pareti casalinghe, grazie all’amore di mio padre per i grandi della letteratura. E ne ricordo con emozione viva, oserei dire pulsante, l’aspetto malinconico e apparentemente freddo. Il poeta osservava gli elementi di un pomeriggio, che volgeva al termine, con intensità distaccata- perdona l’ossimoro-, com’era tipico di Montale e come tu stesso puntualizzi.
Le onomatopee, le allitterazioni, i giochi di metrica davano il senso dell’arte e della
profondità con la quale, sin da giovanissimo, il Poeta si dedicava all’osservazione della realtà.
Mi sembra che questa poderosa lirica fosse l’introduzione a “Ossi di seppia” e desse l’idea del ‘signore della parola’ che avremmo incontrato in seguito.
Il tuo riferimento al suo costante impegno civile è di grande importanza, in quanto si è soliti ricordarlo senza mettere in rilievo quest’aspetto della sua produzione.
Ti ringrazio per l’articolo didattico e per il caro ricordo di colui che, insieme a Ungaretti, è stato, a mio avviso, il più grande Autore del novecento.
Un grande abbraccio.
Cara amica, ti ringrazio per l’attenzione rivolta al mio breve, commosso ricordo di Eugenio Montale. Mi viene in questo momento in mente che Meriggiare pallido e assorto sta al giovane Montale come la Sinfonia K183 sta al diciassettenne Mozart ( le cui laceranti note aprono il film Amadeus di Milos Forman); nel senso di due formidabili acuti in tonalità minore, problematici e “scagliosi”, modernissimi entrambi. Un abbraccio