Ai visitatori del presente blog, dopo aver augurato buon Ferragosto, intendo fare un dono: presentando una recente, inedita poesia del mio carissimo amico Franco Campegiani, poeta e filosofo; la cui assidua presenza sul mio sito risulta, credo, contributo prezioso e autentico in merito all’esercizio del pensiero (e, dunque, riguardo a quella umana crescita collettiva che non può essere stata veramente dimenticata -speriamo!- nonostante i segni sconfortanti dei nostri tempi). Non a caso, pertanto, dal work in progress del poeta Franco Campegiani, ho estrapolato, col consenso dell’autore, IL MALE D’OGGI, la poesia che mi accingo a presentare; cui ritengo si attagli la riproduzione qua sopra della celeberrima incisione di Albrecht Durer, Melenconia I. Stavo dicendo che non a caso ho scelto questa poesia di Franco, appunto perché reputo che i suoi versi possano confortare, più che consolare; nel momento in cui, raffigurando mirabilmente “l’aer nefando” che respiriamo (mi sia concessa la citazione leopardiana dalla canzone ALLA SUA DONNA) irradiano -detti versi- stimoli potenti acciocché ci si scuota, si riprenda il cammino; non amoreggiando troppo con la selva oscura dalla quale siamo strettamente avviluppati. Ma precisato -sia pure in sintesi estrema- tutto il valore dell’emissione di senso di questa poesia di Franco Campegiani, non posso non richiamare l’attenzione di chi vorrà leggerla in merito al plus-valore stilistico di cui questa stessa poesia si serve, per arrivare dritta come freccia all’intelligenza del cuore. Vediamo brevemente perché. Bellissimo, intanto, l’iperbato, atto ad evidenziare gli “spiragli di luce” (versi 3-4); come, del resto si dimostrano efficaci i raddoppiamenti consonantici di “una notte senza sbocchi” (verso 10); a significare, già sul piano fonematico del discorso poetico, una porta che sbatte in faccia alle nostre residue speranze. E che dire della suggestiva, spontanea allitterazione “dall’urlo muto/ delle viti che potavi” (versi 26-7), ad esprimere per l’appunto col suono delle parole (prima ancora che sul piano letterale) il taglio a qualcosa di vivo? Certi inflessibili custodi dell’endecasillabo canonico (a prescindere, evidentemente, dalla potenza della Musa e dagli sviluppi della buona poesia contemporanea) perdoneranno, spero, a Franco Campegiani il magnifico, terz’ultimo verso della sua poesia: “nuovo e bello dalle brume invernali” (endecasillabo -seppure non canonico nello schema accentuativo- ispirato e suggestivo; più volte impugnato, d’altronde, dai grandi del Novecento; per esempio da parte di Giorgio Caproni). Ma basta coi dettagli! Grazie, piuttosto, Franco, da parte mia; sto per darti la voce:
IL MALE D’OGGI
Il male d’oggi è chiuso in un recinto
di plastificate muraglie,
ghetto refrattario in una cupola
agli spiragli di luce.
E solo tenebre incontri
senza più coscienza delle tenebre,
case nere lungo i viali asfaltati
senza più finestre,
un dolore inconsapevole,
una notte senza sbocchi
che rifiuta l’impasto con le aurore,
un nulla radicale in estinzione,
un nero che più non genera nero,
un incubo, un’oscura follia
superba e paga di se stessa
che rifiuta il bacio dell’alba
e si occulta all’amplesso lievitante,
al groviglio fremente della vita,
e muore…
Quanti gridi di dolore nelle notti
si schiudevano all’alba in battiti d’ali!
Mai mi dicesti
che c’è un male che fa bene,
ma lo capivo dai tuoi gesti,
padre contadino,
dall’urlo muto
delle viti che potavi,
dal sudore vivo della fronte,
dalle doglie della terra partoriente
che con amore coccolavi
affinché tutto risorgesse
nuovo e bello dalle brume invernali.
Quanti gridi di dolore nelle notti
esplodevano all’alba in battiti d’ali.
Poesia inedita di Franco Campegiani
Caro amico,
ci proponi ora una lirica di Franco, dal respiro immenso, che evoca la grandiosità di altri suoi versi, nell’impostazione strutturale, non nel contenuto… Mi riferisco a “Don Chisciotte” e all’invocazione dei cieli! La proponi e crei una sorta di consecutio con la poesia di Sandro.
‘Con intonazioni diverse’, per usare le tue parole, si riferiscono entrambi al male che ci circonda, che contamina l’ambiente, i rapporti, le persone, la società in toto.
Franco, filosofo teso come arco a rinnovare la filosofia, dando la predominanza al pensiero, è presente come superbo poeta e come filosofo in questo testo di morte e di rinascita. “I gridi di dolore delle notti si chiudevano all’alba in battiti d’ali” e, nell’ultimo verso ‘esplodevano’, divenendo erompenti, più forti di ogni vergogna, di ogni bruttura! Il gioco degli equilibri che Franco ci sta insegnando trova in questa lirica incalzante, sanguigna, possente, la sua forma più alta. Il bene è affidato al miglior filosofo, al padre contadino, che potava e coccolava, dando alla terra la possibilità di risorgere.
Il linguaggio adottato dal nostro comune amico, che si evince dettato da esplosiva ispirazione, denota un artista dalla padronanza di linguaggio commovente.
“L’impasto con le aurore”; “il bacio dell’alba”; “l’amplesso lievitante”;”il male che fa bene”;”l’urlo muto delle viti”, la terra partoriente”, sono immagini che, come scalpelli, trafiggono il granito della nostra pochezza e ci consentono di entrare nella spirale dell’animismo, della crescita spirituale, del dolore che fa tremare e dell’amore che libera nuovi afflati dall’anima!
Grazie, Andrea, per aver concesso ai lettori di avvicinarsi a questi versi magnifici e immaginifici.
Nelle diversità si ha modo di cogliere i colori, le essenze, i respiri arricchenti e incatenanti della Poesia!
Un abbraccio forte a entrambi!
Concordo pienamente con quanto affermi, cara amica; nel senso che abbiamo davvero bisogno di leggere poesie del genere: chiare, nette, di disarmante bellezza. Un abbraccio.
Caro Andrea,
ritengo questa poesia di Franco – la cui pubblicazione sul blog depone a tuo indiscutibile merito e sicura competenza – un vero e proprio capolavoro. Mi fu sufficiente leggerla una sola volta e poi ascoltarla dalla viva voce dell’amico per rendermi immediatamente conto che il testo che avevo di fronte era il picco più alto scalato (finora s’intende) dal nostro “poeta-alpinista”.
Questo come primo impatto, poi, ritornandoci (come sempre accade: lo sai bene) presi coscienza dei preziosi valori che conteneva: anzitutto, sul piano fonematico, – come tu stesso rilevi – l’armonico suo sviluppo, l’esemplare sua musicalità (il suono in poesia è sempre il primo a raggiungerci). Ma il “plus-valore stilistico” – e qui sta la grande poesia – si sposa così convintamente e felicemente con i significati da farci perdere l’orientamento; ed è allora, come nomadi nel deserto, come bambini che giocano liberi in un prato, che siamo di nuovo in grado di percepirne e di respirarne tutta la vigorosa bellezza.
Ecco: questa è sublime poesia perché parla il linguaggio che le è proprio (e non scimmiotta), perché denuncia (eccome se denuncia!) ma non alza i toni, perché è didascalica (eccome se insegna) ma non si mette in cattedra (“Mai mi dicesti / che c’è un male che fa bene, / ma lo capivo dai tuoi gesti, / padre contadino. . .”), perché ci conosce (“E solo tenebre incontri / senza più coscienza delle tenebre, /. . . . / una notte senza sbocchi / che rifiuta l’impasto con le aurore. . .”) e si conosce (che incanto quella ripresa, quel coro d’orchestra che s’apre dopo la fine: “. . . e muore. . . / Quanti gridi di dolore nelle notti / si schiudevano all’alba in battiti d’ali!”).
Potrei continuare ma finirei col citare per intero, persuaso, come sono, che a questa poesia basta il suo commento.
Grazie di cuore, amici. Vi abbraccio! E che la poesia ci salvi.
Sandro
Caro Sandro, è proprio come tu dici: c’è, in questa poesia di Franco, uno spessore etico mirabilmente risolto in levità. Io, nel presentarla, ho scritto di un plus-valore dei significanti del testo capaci di potenziare l’emissione di senso del medesimo; ma, ovviamente e in ultimo, dobbiamo fare un passo indietro rispetto al mistero dell’arte capace di confrontarsi appieno col reale. Un abbraccio, amico mio.
Come ti dicevo, caro Andrea, nei giorni scorsi avevo già scritto per questa poesia un commento, poi però, tale brano si era perso nei cosiddetti ‘mari del web’. Ora, non avendolo in alcun modo recuperato ,mi accingo di nuovo a scrivere qualcosa a tal proposito e devo dire che mi è dispiacituto perchè il primo impatto con essa aveva scatenato in me una certa ispirazione che si era subito tradotta in volontà di comunicare.
Comunque il testo in questione è composto con lucidità straordinaria, con una lucidità elaboratrice di frasi che restituiscono esattamente il senso che si è voluto dare all’opera( il che, in Arte, ovviamente, credo sia una delle mete più ambite) e al contempo è quasi come se l’autore riuscisse a stendere tra noi ed esso un velo trasparente che mette a nudo tutta la coscienziosa amarezza con la quale analizza il mondo. Egli qui non è filosofo ma il pensiero filosofico appare comunque( cito ad esempio le ‘…plastificate muraglie…’ di cui parla all’inizio ) in sintesi col pensiero strettamente ‘umano’, proveniente dall’intelligenza del cuore, teso a ricordare e a mettere a confronto il suo essere riconoscente e osservatore di allora con la realtà attuale. E’ una delle migliori che ho letto sinora di Franco e di per sè il vero valore dell’opera si cela anche nel fatto che l’autore, pur toccando diverse sfaccettature del vivere attuale, del proprio passato, dei sentimenti ecc.. riesce, in maniera mirabile( come tu stesso alludevi) a far convergere il tutto su un’unica corsia.
Mi sembra azzeccata anche la tua analogia con quest’opera del grande pittore tedesco. Grazie a te e a Franco. Un abbraccio, Rob.
Grazie, caro Roberto, per aver voluto sottolineare anche tu il valore del dono che Franco Campegiani ha offerto a noi tutti. Non posso che ribadire con forza la necessità di leggere, oggi, versi del genere. Un abbraccio.