Leggendo il libro vincitore del Premio Strega di quest’anno, STORIA DELLA MIA GENTE (la rabbia e l’amore della mia vita da industriale di provincia) di Edoardo Nesi (Bompiani), ho creduto inizialmente di trovarmi di fronte ad un autore incapace di oggettivare in autentica materia narrativa la drammatica storia del fallimento dell’industria tessile di Prato, nell’epoca odierna della globalizzazione. Troppo lungo e ostinatamente riproposto a chi legge risulta, ad esempio, l’elenco di scrittori anglosassoni moderni e contemporanei coi quali Nesi ha fatto e sta facendo tuttora i conti. Tuttavia, inoltrandomi nella lettura di STORIA DELLA MIA GENTE, ho volentieri perdonato all’autore tale elenco, e per un semplice fatto: Nesi si rivela, al dunque, uno scrittore di razza, capace di concepire un testo problematico e aperto, senza fiction; all’interno del quale lui stesso, rimanendo per l’appunto Edoardo Nesi, esprime -mettendosi a nudo con stile asciutto, direi austero- il proprio amore per la letteratura, con accenti assolutamente vibranti. Lui, Edoardo Nesi, costretto a vendere nel 2004 l’azienda di famiglia a fronte della spietata competitività cinese, si è salvato leggendo e scrivendo (con crescente successo), negli anni: fino al testo in oggetto, amaro bilancio della vicenda economico-sociale del Belpaese, ben al di là di Prato. Nesi ha vinto meritevolmente lo Strega, a mio avviso, con un libro importante, ricco di tensione, a nervi scoperti; amarissimo, ripeto. Ancora: è così verace, Nesi, da prendersi il coraggio, nel libro, di ammettere, ad esempio, di non frequentare che raramente un suo amico, l’attore e regista Francesco Nuti, da tempo scomparso dalla scena in quanto seriamente malato. C’è del nerbo insomma, in Nesi, scrittore ancor giovane ma già pienamente maturo; agendo in lui quella passione civile che mi ha fatto pensare a un grande autore come lo scomparso Paolo Volponi, lo scrittore di Urbino di cui ci restano romanzi importanti sul tema del problematico sviluppo industriale del nostro Paese nel dopoguerra.