Quest’oggi intendo assicurare tutto lo spazio ad uno scritto di Laila Scorcelletti, a mio avviso di profonda e stimolante problematicità. Non voglio guastare la sorpresa a chi leggerà tale scritto (ma il grande dipinto di Munch, PUBERTA’, che possiamo osservare nella foto mi sembra che costituisca una traccia cospicua, al riguardo). Denso e polivalente, il percorso artistico-culturale dell’autrice del suddetto scritto. Insegnante nella Scuola Elementare dal 1983, studiosa di neuropsichiatria infantile (con docenza: ruolo educativo di scuola e famiglia in rapporto agli strumenti di comunicazione di massa livello 2), Laila Scorcelletti ha anche pubblicato, fra gli altri, un libro significativo, ABBASSO LA TV, ed. Anicia, 1998; recensito dal Prof. Giovanni Bollea e dal Prof. Renzo Titone; testo peraltro adottato presso il DAMS (II Università di Roma Tor Vergata) nel corso RADIO, TELEVISIONE E NUOVI MODELLI DI COMUNICAZIONE del Prof. Gamaleri. Ma Laila Scorcelletti è nel contempo artista a titolo pieno, avendo fondato la Compagnia Teatrale IMMAGINAZIONI, con frequenti spettacoli presso la sala teatrale AFFABULAZIONE (Lido di Ostia, Roma); spettacoli di cui è autrice ed interprete. Infine, Laila da tempo si confronta con la poesia, ottenendo non pochi riconoscimenti per questo suo impegno strettamente letterario. E’ giunto davvero il momento di darle la parola:
FACEBOOK: VERO E FALSO SÈ
Accade che un ragazzo di diciassette, bocciato a scuola, si toglie la vita, ma prima del gesto estremo, scrive il suo saluto su facebook e chiede a una sua amica di mantenere aperta la pagina del suo profilo per continuare a vivere virtualmente.
Mi vengono i brividi.
Gli adulti della comunità non possono restare in silenzio di fronte a tanto.
Tragedie di questo tipo ci portano alla necessità di riflettere sui concetti di Vero e Falso Sé e di Sé compiacente.
L’adolescenza vive da sempre il conflitto di questa elaborazione ma, nel nostro tempo storico, la realtà virtuale dei mezzi di comunicazione di massa può facilmente bloccare l’evoluzione di questo nodo che si trasforma in una trappola patologica.
Già lo scrivevo nel 1998 nel mio libro Abbasso la TV edito da Anicia.
E vorrei tornare a riflettere su quei concetti.
Diceva Winnicott “ Il Falso Sé si costituisce su una base di compiacenza. Può avere una funzione difensiva che è la protezione del Vero Sé.”
Possiamo dedurre da queste parole che la nascita del Falso Sé ha come finalità la sanità mentale dell’individuo nella misura in cui egli assolve il suo ruolo di curare la parte convenzionale delle relazioni sociali, ruolo in cui io vorrei denominarlo Sé compiacente. Con questo termine intendo indicare l’azione sana del Falso Sé con la quale viene filtrata la richiesta di modellamento, che proviene dalla società, permettendo così all’individuo di vivere il senso di realtà del suo tempo storico e del suo ambiente geografico e famigliare, proteggendo l’autenticità del Vero Sé.
Ma torno alle parole di Winnicott: “ Un principio che governa la vita umana potrebbe essere formulato nel seguente modo: solo il Vero Sé può sentirsi reale, ma il Vero Sé non deve mai essere influenzato dalla realtà esterna, non deve mai essere compiacente. (…) Dal Vero Sé vengono il gesto spontaneo e l’idea personale. Solo il Vero Sé può essere creativo e sentirsi reale. Quando il Falso Sé viene utilizzato come reale , nell’individuo c’è un senso di futilità e disperazione (…) A livello estremo dell’anormalità il Falso Sé può essere preso per reale, così che sul Vero Sé grava la minaccia di annientamento, il suicidio può essere allora una riaffermazione del Vero Sé.”
Scriveva Masud R. Khan : “ Le principali caratteristiche del Falso Sé sono la sua funzione difensiva per nascondere e proteggere il Vero Sé (…) Il Falso Sé si preoccupa principalmente di cercare le condizioni che daranno al Vero Sé la possibilità di ricevere ciò che gli spetta.
Scrivevo in “Abbasso la tv”:
“ Nella sua profonda crisi, l’adolescente sfida le sintesi artificiose dell’etica famigliare e questo significa mettere a dura prova il Vero Sé; attaccando i genitori e l’ambiente famigliare, infatti, egli cerca di restituire tutta quella parte di Sé compiacente che, (in una fase così caratterizzata dall’individualizzazione, dall’originalità e dalla ricerca di autenticità), potrebbe minacciare l’integrità del Vero Sé. Potrebbe però accadere che, anziché trovarsi di fronte un Sé compiacente, egli debba fare i conti con un Falso Sé, organizzato in una delle fasi evolutive precedenti con la finalità di proteggere quello Vero dalla minaccia di annientamento proveniente dall’ambiente.”
In questo caso l’adolescente ha tre soluzioni possibili:
– decide di vivere come un adolescente “maturo”, vale a dire che rinuncia alla sua adolescenza e zittisce, forse per sempre il Vero Sé ( diceva Winnicott che l’immaturità è ciò che garantisce la sanità dell’adolescente) ricorrendo magari a una durevole forma di sublimazione ( misticismo religioso,ordine sacerdotale o militare…);
-affronta l’angoscia decidendo la strada dell’elaborazione psichica facendosi magari aiutare o da figure del suo ambiente o da persone qualificate (percorso psicodinamico);
-il suo Falso Sé è così profondamente e patologicamente radicato che egli non può permettersi di concedere né a se stesso né a nessun altro, quel minimo di fiducia indispensabile per affrontare i processi elaborativi e, in preda a una angoscia incontenibile, egli può decidere di mettere in atto un suicidio, come ultima, unica affermazione del Vero Sé. In questo caso il Vero Sé torna a essere protagonista: l’artefice dell’omicidio del Falso Sé.
Colleghiamo ora tutto ciò all’episodio di cronaca da cui siamo partiti e chiediamoci come si colloca il profilo personale virtuale su Facebook in questa dialettica adolescenziale tra Vero Sé, Falso Sé e Sé conpiacente.
Certamente che, offrendo l’opportunità di costruire proprio un alter ego, Facebook può favorire (non determinare), come ingrediente di base di una insalata mista, la sovrapposizione netta, simmetrica, del Falso Sé con il proprio profilo virtuale costruito su Facebook, inibendo totalmente quel ruolo di Sé compiacente che il Falso Sé dovrebbe assumere a tutela della sanità mentale dell’individuo.
Ciò deve essere accaduto a quel ragazzo protagonista del fatto di cronaca di cui ci stiamo occupando. E cosa può essere accaduto, con molta probabilità, nella sua psiche?
Come dicevamo, il Vero Sé pretende di esistere e decide il suicidio come unica affermazione della sua esistenza, laddove il suicidio diventa l’omicidio del Falso Sé commesso dal Vero Sé. Ma, nella confusione tra il reale e il virtuale, il ragazzo, razionalmente, usa lo strumento tecnologico per difendere quel Falso Sé che dagli altri, e forse anche da sé stesso, è stato percepito per reale. Una difesa, che fino a qualche anno fa sarebbe risultata senza alcuna possibilità di appello, oggi risulta illusoriamente realizzabile attraverso strumenti come Facebook (questo è l’elemento psichicamente ed eticamente grave). Egli, in questa difesa estrema del Falso Sé,chiede a una sua amica di mantenere l’esistenza della pagina del suo profilo su Facebook, per continuare egli stesso a vivere virtualmente.
Nulla di più semplice e di più logico nella follia collettiva del nostro tempo.
Mi spiego meglio:
il profilo di Facebook e strumenti similari possono essere usati in modo vicino alla sanità quando rappresentano un’appendice del Sé compiacente con la quale una persona può relazionarsi agli altri utilizzando strategie comunicative utili a costruire una rete significativa con persone lontane, che va gestita ad esclusivo vantaggio del Vero Sé. Quando invece un individuo vive una tappa evolutiva problematica (e l’adolescenza lo è proprio nella natura intrinseca della sua peculiarità)e sta sviluppando, per la concomitanza di una serie di fattori, un Falso Sé incapace di agire attraverso il Sé compiacente il profilo di Facebook può (come tutti gli strumenti che annullano il confine tra reale e virtuale) agire in modo decisivo e diretto sul radicamento del Falso Sé. Accade quindi che, gradatamente, nel profilo virtuale, è il Falso Sé che prende vita propria e, appunto per questo, smette di esistere in funzione della difesa del Vero Sé e viene scambiato da tutti per reale.
Nella cronaca di cui ci stiamo occupando, il Vero Sé decide l’omicidio del Falso Sé e organizza il suicidio. Ma il ragazzo si preoccupa di cosa sarà di quel Falso Sé che, con l’ausilio dello strumento tecnologico, aveva potuto costruire con una tale dovizia di particolari, da farlo sembrare Vero. E così si occupa di farlo restare in vita anche dopo il suicidio, attraverso Facebook. È il Falso Sé che, nonostante il tentato omicidio subito, riesce s dare “scacco matto” al Vero Sé.
Nella storia umana ciò non è mai accaduto.
Questo elemento travolge lustri di lavoro sulle teorie delle dinamiche evolutive e relazionali.
Resto in silenzio e rifletto.
Sono profondamente commossa di fronte a questo ragazzo, inghiottito da un sistema sociale che alimenta la vita virtuale a discapito di quella reale, e, vittima di questo tempo storico, si confonde tanto da voler difendere la sua vita fittizia nel nulla telematico anziché sostenere l’autenticità della sua esistenza.
LAILA SCORCELLETTI
Caro Andrea,
splendida la tua idea di dar spazio all’articolo di Laila. Affronta un problema grave di questa nuova società, che tende a svilire l’esistenza dell’individuo e, in particolare
dei giovani. Siamo divenuti figli degli strumenti tecnologici, incapaci di dominarli, di
lasciarli essere simboli del progresso.
Faceebok è il virtuale che, come afferma giustamente Laila, finisce per sostituire del
tutto il mondo reale. E’ la vetrina del proprio vissuto, che esiste in virtù di collane di amicizie, quasi tutte senza volti conosciuti.
Un uso temperato del mezzo può sortire effetti positivi, ma la società ‘liquida’ in cui
viviamo è molto lontana dalla temperanza.
Il mezzo tecnologico diviene ossessione. Sostituisce i rapporti umani diretti, autentici, crea ‘il falso sè’, che spesso, purtroppo, è quello che garantisce sicurezza.
Occorre riflettere sui rischi di questa svendita dei sentimenti, dei rapporti, delle vite.
Il libro di Laila, attualissimo, credo che abbia alto valore didattico.
Ringrazio te, Andrea, e lei per questo contributo che ci offre infiniti spunti di riflessione…
Lo scritto di Laila, cara amica, merita a mio avviso di essere seriamente meditato. E’ quasi superfluo, qui, ricordare le accorate e lucide pagine pasoliniane degli Scritti corsari e delle Lettere luterane a proposito del “genocidio antropologico” con cui avremmo dovuto fare i conti, nel Belpaese, in un futuro neppure tanto lontano; cioè oggi. Giacché Pasolini distingueva bene lo sviluppo tecnologico dal progresso delle coscienze, nella sua serrata critica degli ultimi anni al neo-capitalismo tanto più insidioso in quanto permissivo e suadente…roba di oggi, per l’appunto! ma, lo sappiamo, il poeta era “apocalittico”, “disperato”, un cattivo maestro neppure tanto originale, nel riproporre con lucida passionalità una tematica già affrontata dalla Scuola di Francoforte. Tornando alla nostra amica Laila, la ringraziamo per quanto ci ha donato, in termini di riflessione. Un abbraccio.
Problema molto attuale, e giustamente evidenziato. Nell’adolescente c’è una parte di onnipotenza dovuta a un narcisismo originario che, se mortificato o restato entro i limiti dell’idealizzazione e non affrontato (a gradi) realisticamente prima di venire interiorizzato dall’Io adibito al controllo delle pulsioni interiorizzate, quando anche la cosiddetta “fase edipica” non sia stata vissuta correttamente, sarà influenzato in maniera determinante da ciò che gli hanno trasmesso i genitori (valori-idealità, seduttività, minacce, esercizio e ab-uso di potere). Mancando i fondamentali passaggi evolutivi che Freud chiamò come “Io-piacere purificato”, in cui il ragazzo cerca di salvare il narcisismo originariamente onnicomprensivo, concentrando la perfezione e il potere sul Sé, (grandioso), sarà destinato a distogliersi sdegnosamente da un mondo esterno a cui vengono attribuiti tutte le imperfezioni. A quel ragazzo mancarono gli strumenti necessari (famiglia-psicoterapeuta) che gli permettesse di creare una connessione di oggetto-Sé idealizzato a quello di un Sé onnipotente, cadendo nella patologia (estrema) che lo portò ad architettare la sua fine (come ben sappiamo) immaginandosi ancora esistente. Fine, purtroppo, inevitabile, perché privo della struttura fondamentale su cui nasce e si sviluppa l’autostima. Da questo, il “diritto” ad esercitarla, patologicamente, appunto.
Forse non c’entra, eppure, chissà perché, ho pensato a Walt Whitman (leaves of grass) “(Da una cella a questo luogo oscuro.
La morte a venticinque anni!
La mia lingua non poteva esprimere ciò che mi si agitava dentro.
E il villaggio mi prese per scemo.
Eppure all’inizio c’era una visione chiara,
un proposito alto e pressante nella mia anima,
che mi spinse a cercare d’imparare a memoria l’Enciclopedia Britannica!)”.
Ciao Andrea, Mirka.
Ti ringrazio, cara amica, per questo tuo denso commento che ci permette di approfondire ulteriormente quella doverosa riflessione che lo scritto di Laila spinge a fare. Ricordo, a questo proposito, la mia lunga stretta di mano a Vittorino Andreoli nel maggio 2007 alla Fiera del Libro di Torino, in occasione di un dibattito intorno alla sua Vita digitale; un libro lucido e allarmato, circa le alterazioni (per tacer d’altro) bio-plastiche del nostro cervello dovute allo schematismo della logica binaria (yes or not) che quotidianamente introiettiamo, nell’era del web. Scopro l’acqua calda a questo punto ricordando quanto tutto ciò possa risultare particolarmente nocivo per coscienze ancora fragili per legge di natura; pensando ai giovani, a chi dovrebbe essere orientato nella crescita, anziché disorientato da messaggi distorti e demenziali.
Un abbraccio.
Caro Andrea,
l’articolo di Laila è veramente uno scritto importante e sono felice che tu l’abbia inserito nel blog.
Martignoni dice “Ogni giovane è alla ricerca di assoluto. Ma si tratta di una ricerca che abbisogna di strade, di una segnaletica che non può essere offerta dal mondo adulto. Una ricerca che può facilmente far smarrire la strada, ma che fa “impazzire” se nessuno rimane a testimoniare che il viaggio è possibile”.
Perché il Viaggio è possibile.
Ma non c’è nessuno a testimoniarlo. Questo è il grande problema della nostra società, del nostro oggi. Se nessuno testimonia la possibilità allora ogni strada si chiude, la speranza si accartoccia su se stessa, diventa terra arida. Tutto muore.
Perché ognuno di noi ha un Falso sé a chiudere le porte, chi più, chi meno.
C’è chi non ne sa niente, chi per errore ci si è trovato davanti, chi è solito guardarlo dritto negli occhi, chi l’ha lasciato da parte per provare a lasciarsi Essere. Un’autrice che ha trattato egregiamente il dramma del falso sé è la Miller “Ognuno di noi ha dentro di sé un cantuccio, a lui stesso più o meno celato, in cui si trova l’apparato scenico del dramma della sua infanzia. Gli unici che con certezza avranno accesso a quel deposito saranno i nostri figli. Per mezzo loro, l’apparato scenico sarà rivitalizzato: il dramma va avanti”.
Per questo non guarderei l’episodio del giovane con troppo distacco. Il dramma siamo noi, è dentro ognuno di noi. Se poi ha assunto un nome diverso, questo non vuol dire che non sia lo stesso un dramma. Il dramma è l’aggrapparsi, è il sentire di essere solo in funzione di essere “un qualcosa”. Questo è la nostra società, questo siamo noi. Le nostre cipolle d’aria.
Lacan usava la metafora dell’io-cipolla sostenendo che “l’io non è la sostanza del soggetto perché l’io stesso non ha una sostanzialità propria ma, per così dire, si disfa in una molteplicità di identificazioni. Non c’è dunque, al centro, un cuore della cipolla, ma solamente una stratificazione di identificazioni successive” e arrivando quindi a dire “L’IO NON E’ IL SOGGETTO MA UNA FORMA DI ALIENAZIONE IMMAGINARIA DEL SOGGETTO”.
Ma arrivare a quel nucleo di niente, a quel “nessuno” e toccare e costruire il proprio autentico “desiderio”, il proprio vero sé, il proprio nucleo creativo è la nascita; e non c’è parto che sia facile.
A volte un giovane ha “solo” bisogno di sentirsi dire che può farcela. Ma nessuno può dire ad un giovane che può se a sua volta non ha potuto.
E chi può essere oggi a dirci che si può?!
I nostri genitori? Non credo. Loro non sono che l’esaltazione del problema, del non si può. Loro non hanno potuto.
Gli insegnanti nelle nostre scuole? Non credo. Loro parlano del viaggio per eccellenza, quello fatto da Ulisse, quello fatto da Dante, ma ne parlano senza avere la benché minima idea di cosa voglia dire quel viaggio.
Non hanno idea dello smarrimento, del terrore, della fiducia che Dante ripone in Virgilio quando si appresta a seguirlo, quando l’emblema di un attraversamento diventa “A te convien tenere altro viaggio se vuò campar d’esto loco selvaggio”.
Ma Dante aveva Virgilio. E lui diventava la testimonianza della possibilità del viaggio. E l’affidarsi a colui che incarna quella possibilità: “E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond’io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose” diventa la fiducia nella sua realizzazione.
Il viaggio verso l’interno è l’unico tipo di viaggio possibile, l’unica porta sul mondo. Ma è un viaggio rischioso e nessuno lo può fare da solo e senza la testimonianza che questo sia possibile.
DATE PAROLE AI VIAGGIATORI, E’ DEI VIAGGIATORI CHE VOGLIO SENTIRE LA VOCE!!!!
Un abbraccio fortissimo caro Andrea!
Michela
Benvenuta, cara Michela, in questo blog, arricchito dal tuo commento. Non posso che condividere appieno l’idea del viaggiare dentro di sé. Sai quanto io abbia apprezzato la tua decisione di leggere in profondità Dante; giacché, così facendo, tu sei con-fortata, più che con-solata, da una delle espressioni più potenti di arte assertiva di tutti i tempi. Tant’è che mi permetto di far parlare ancora Virgilio, che cosi dice al Sommo Poeta: “sta come torre ferma, che non crolla/ già mai la cima per soffiar di venti”; Purg., V, 14-15. E mi permetto altresì di segnalarti una grande silloge poetica di Anna Maria Carpi, L’asso nella neve, edita da Transeuropa, 2011; trattandosi davvero di buona poesia contemporanea, focalizzata guarda caso sul rapporto fra l’autrice e i propri genitori (con accenti di asciutta e distaccata disperazione, se così si può dire). Ma, per tornare al testo di Laila, cos’altro potevo fare se non presentarlo integralmente, considerando il suo valore? Ti ringrazio ancora per la generosità del tuo scritto, cara amica. Un abbraccio.
E’ sicuramente una storia sconvolgente, che dà modo di aver paura del mondo in cui ci troviamo a vivere. Veri Sè e Falsi Sè hanno da sempre fatto compagnia all’uomo, sin dall’alba dei tempi. Parliamo quindi delle Maschere che da sempre siamo abituati a indossare e direi che l’uomo, potenzialmente, riuscirebbe a vivere anche soltanto con quelle, indossandole, o indossandola, a varie riprese. Però, proprio come essere umano, per non sentirsi una Nullità e per vivere una vera vita da protagonista, egli ha bisogno di dar riscatto al Vero Sè che è fatto, tra le altre cose, anche di aspirazioni e di sogni. Per far questo egli ha bisogno però di coraggio e quest’ultimo viene anche dal credere più o meno fermamente in qualcosa. Allora la domanda diventa: in cosa crede l’uomo e quindi l’adolescente di oggi?
Io non lo so… Forse nella Tecnologia e in Internet?
Molto bella perchè chiara è la distinzione che Laila riesce a fare tra i due Sè. Infatti se il Falso Sè venisse vissuto nella maniera giusta, quella di cui abbiamo cioè bisogno, non ci sarebbe nulla di male. Il problema giunge quando questa seconda identità ci fa dimenticare quella che a mio avviso ci dobbiamo sforzare a far venire per prima… L’adolescenza è sempre stata un’età delicata e delicato è l’equilibrio mentale che l’uomo cosciente si trova a dover supportare oggi come oggi. Dobbiamo tener presente che nessuno di noi ha più dei punti di riferimento solidi e meno che mai li ha l’adolescente. L’assorbimento che possiamo subire navigando in internet è maggiore di quello che abbiamo subito a suo tempo dalla televisione. Sta a noi saper dosare e saper distinguere tra il bene e il male che ne riceviamo….
Il tuo commento, caro Roberto, non fa una grinza. Da una parte c’è l’allarmismo consapevolmente dosato dal potere mediatico; dall’altra, il nostro doveroso, direi obbligatorio sforzo di fermarci a riflettere su quanto Laila ha lucidamente e accoratamente scritto (non trattandosi di una fiction, purtroppo!). Un abbraccio.
Caro Andrea, condivido sostanzialmente il pensiero espresso da Laila e confermato da alcuni interventi (principalmente da quello di Roberto De Luca). Nei tempi più arcaici, e negli stessi (rarissimi) esempi rimasti di popolazioni primitive, la “maschera” ha esattamente il ruolo di difendere la vera personalità dell’individuo, rendendolo accetto alla comunità in cui vive e traducendolo nelle forme culturali più idonee e comprensibili a livello tribale. Non è detto, pertanto, che “finzione” debba essere sinonimo di “falsità”. Nell’accezione più genuina del termine, essa non è altro che un filtro della “verità”, e ciò è splendidamente adombrato nel detto popolare secondo cui “Pulcinella, scherzando scherzando, dice la verità”. Il rischio che si corre è che si finisca per scambiare la “maschera” (che guarda caso per gli etruschi significava “persona”) per il vero “se stesso”, ovvero per la propria “spiritualità”. Ed è la trappola in cui cade l’uomo da sempre, quando si lascia dominare totalmente dalle mode sociali e dal conformismo, capovolgendo il sano rapporto tra i mezzi ed i fini. Il cosiddetto “peccato originale”, in fondo, non fa che alludere a questo smarrimento dello spirito fra i meandri della convenzionalità. E’ così da sempre, anche se oggi – è vero – i mascheramenti telematici (e non solo) possiedono un’aggressività spaventosa, mai registratasi prima d’ora nella storia dell’umanità. Per salvarsi da tale aggressione, l’uomo da sempre, ma in particolare oggigiorno, ha un solo mezzo a disposizione: quello di approfondire in un esercizio costante, autocritico ed autoanalitico, la conoscenza di sé. O meglio, l’amicizia di sé, visto che la conoscenza ha il difetto di ingannare quasi sempre se stessa. E non credo si possa acquisire dall’esterno tale amicizia di sé. Ognuno è maestro di se stesso in questo campo, dove affidarsi ad altri risulta estremamente pericoloso, in quanto non fa che ingigantire la confusione tra interiorità ed esteriorità. E si finisce purtroppo nel plagio mentale, con il corollario inevitabile della venerazione immotivata di esseri in tutto simili a noi (umani come noi), che se in qualcosa andrebbero imitati, dovrebbe essere nell’incrollabile fede in se stessi, rifiutando qualsiasi lavaggio del cervello, pur nella sana e doverosa convivenza. Le certezze dobbiamo trovarle dentro di noi. Non possiamo apprenderle da altre fonti, la cui luce può accendersi solo quando noi abbiamo già accesa la nostra dentro di noi. E’ una moltiplicazione della luce che può confortarci, comprendendo che altri hanno già compiuto il viaggio che noi stiamo compiendo, come molti altri lo compieranno in avvenire. Ma dobbiamo rinunciare all’illusione che qualcuno possa prenderci sulle proprie ali per farci volare. Dobbiamo volare con le nostre ali, e se non le abbiamo, dobbiamo fare del tutto per farcele spuntare. In altre parole, bisogna crescere nella fede in noi stessi. E non sto parlando del se stesso razionale, che è come dire dell'”ego” borioso e pieno di illusioni, bensì del se stesso arcano (del vero sé) che pretende umiltà. Più l’uomo si sente “nessuno”, più si sente meschino, e più cresce in grandezza morale, perché fa spazio all’Essere divino, al guerriero indistruttibile che è dentro di sé. Non è, questa, una forma di “alienazione immaginaria”, per dirla con Lacan, perché tutto ciò che è costruito artificialmente è illusorio e a lungo andare si dissolve nel nulla, non riuscendo a dare all’individuo la forza necessaria per risorgere dai naufragi e dalle avversità. E non credo che si possa essere più o meno fragili a seconda dell’età. Se è vero, infatti, che il giovane è più sensibile all’aggressione della società (che oggi è tecnologica, mentre in altri tempi era religiosa, o d’altro genere), è altresì vero che l’adulto viene soffocato da responsabilità sociali inimmaginabili, che lo rubano a se stesso, cancellando sovente quel cordone ombelicale (nel giovane ancora resistente) che lo terrebbe ancorato al Sè. Non dimentichiamoci che il bambino è addirittura in grado di dialogare con se stesso; facoltà che all’adulto capita di smarrire totalmente, precipitando nello schematismo e nell’aridità. Ti ringrazio, Andrea, per i venti spirituali, culturali,ma soprattutto umani, che investono i lettori del tuo blog. E’ un esempio di come la tecnologia (internet, in prima fila) non sia il demonio in persona, perché il demonio è solo e soltanto l’uomo, quando tacita il dio di se stesso, ovvero l’assoluto che vive dentro di sé. Un caldo abbraccio.
Carissimo Franco, è tardi a quest’ora e sono affaticato; ma la tua splendida meditazione è ristoro autentico in termini di spiritualità: per me e per tutti coloro, credo, che avranno modo di confrontarsi con quanto scrivi. Ti ringrazio commosso senza nulla aggiungere. Non si tratta solo di stanchezza; bensì di quel passo indietro che sento di fare al cospetto della tua riflessione, per elaborarla debitamente (dal momento che aggiunge non poco allo scritto di Laila). Un abbraccio.
Caro Andrea
Ho letto oggi i commenti sul mio scritto, sono veramente soddisfatta del dibattito che sei riuscito a stimolare con la tua iniziativa di ospitare le mie parole nel tuo blog.
Ringrazio te e ringrazio tutte le persone che hanno dedicato momenti preziosi del loro tempo alla lettura del mio pensiero e alla comunicazione delle loro riflessioni sulle tematiche toccate.
La condivisione di tutto ciò ha creato un “movimento culturale”di notevole spessore e, usare internet per creare cultura significa dare a questo strumento di comunicazione il suo giusto ruolo nella nostra struttura sociale.
abbraccio tutti con affetto Laila
Grazie per le tue parole, cara Laila; e concordo con te in merito a quest’uso, del web. Peraltro la forza del tuo scritto non poteva non toccare i cuori e le menti di coloro che sono intervenuti ( e penso anche ai lettori “silenziosi”; non insensibili, credo, alla tematica esposta). Un abbraccio