Col permesso dell’autore, mi fa piacere presentare oggi una dolce e limpida poesia di un poeta-agricoltore della campagna emiliana: Lenin Montanari, conosciuto di persona giorni addietro. Lenin, del ’46 (davvero questo il suo nome), è cuore autentico di poeta, dolce ma non dolciastro. E’ stato peraltro amico fraterno dello scomparso cantante del gruppo musicale dei NOMADI, Augusto Daolio (di cui mostro qui nella mia foto un particolare di una sua scultura custodita da Montanari). Ecco, pertanto, la voce di un poeta che canta con toccante semplicità :
GIORNO D’INVERNO
è una fredda mattina
bianca di gelo e di brina,
e questo giorno d’inverno
come un vecchio quaderno
risveglia in un solo momento
le antiche fiabe di un tempo,
e la speranza si fa lieve
come nei sogni dei bimbi la neve;
ma domani, senza di te,
il ragazzo che è in me
svanirà come i diamanti
gelidi d’acqua lucenti,
e sui rami di rosa ogni gemma
di brina
ritornerà un’arida spina.
Lenin Montanari, poesia tratta da Terra Scura, APM Edizioni, 2003; con fotografie (belle davvero!) di Annet Ahrends. Montanari, a parte la suddetta pubblicazione, è autore di tre raccolte di poesia; poesia da lui amorosamente coltivata nei decenni e declamata con grande successo alla sua gente, in letture campestri insolite e originali.
Caro amico,
davvero toccante la lirica bucolica del poeta che hai avuto la fortuna
di incontrare. E’ semplice, non semplicistica e consente di respirare un’atmosfera antica e al tempo stesso nuovissima. Un’atmosfera che sa di fiaba e di risveglio.
Di salite e di discese a ruota libera… Una lirica strutturata stilisticamente con il
metodo della rima baciata o dell’allitterazione, che lungi dal creare l’effetto di nenia,
rende lieve e caldo il testo.
Ti ringrazio per averci reso partecipi di quest’incontro e di questo tocco d’arte genuina. Un abbraccio.
P.S. Superba la scultura nelle sue linee asciutte e possenti!
Mi fa piacere, cara amica, che tu abbia apprezzato la poesia di Lenin Montanari da me presentata. Sarà il caso di aggiungere qui che il grande amico di Lenin, ossia lo scomparso Augusto Daolio, amava particolarmente le arti figurative (soprattutto la pittura); considerando quasi un ripiego l’impegno musicale (eppure è rimasto nel cuore dei giovani e dei meno giovani come indimenticabile “voce” dei Nomadi). Ma, i due amici, artisti entrambi -ebbero modo di incontrarsi la prima volta alla fine degli anni Sessanta, in occasione di una trasmissione radiofonica della Rai che permise a Lenin di farsi conoscere quale poeta- si volevano un gran bene, innanzitutto; così come ho appreso in base ai vivi ricordi di Montanari. La foto da me presentata nell’articolo, infine, vuole essere una piccola testimonianza dell’estro di Daolio, della sua ricerca artistica articolata in più direzioni. Un abbraccio.
Caro Andrea, sono del ’46 anch’io, come Montanari, e sai quanto anch’io ami la cultura contadina. Al punto di credere che non possano esserci orizzonti diversi per la civiltà umana, la quale nacque, guarda caso, trentamila anni fa in concomitanza con l’invenzione dell’agricoltura, ossia della stanzialità, del mettere radici e semi. Nei millenni a seguire abbiamo sperimentato tante vie ed abbiamo modificato più volte la nostra cultura, rimanendo tuttavia, sullo sfondo, comunque e sempre contadini. Una cultura, questa, che, ne sono convinto, potrebbe ancora sorprenderci con insospettabili forme di rinnovamento creativo, se solo noi avessimo l’umiltà di considerarci e dichiararci comunque e sempre “terrestri”, mostrando di amare svisceratamente lo scoglio su cui siamo stati destinati per voleri universali. Altrimenti è la fine. Ed oggi che l’agricoltura è somparsa come cultura (la pura e semplice coltivazione dei campi non credo possa essere considerata una cultura), ecco riaffacciarsi il nomadismo, con il rischio che tutto rovini di nuovo nella barbarie e nell’incultura. Io però credo profondamente nella capacità di rinverginarsi della mente umana. Non mi convince certo il “naif”, né la “naiveté”, perlomeno nei nostri contesti culturali, ma credo nella semplicità come conquista coscienziale, come capacità di recuperare i momenti aurorali dello spirito, pur immersi nella dannazione babelica dei nostri tempi, come siamo. La mia esperienza mi dice di diffidare di chi si presenta con la patente di “nativo”, perché nella maggior parte dei casi si tratta di puri e semplici mascheramenti intellettuali. Diverso è il caso di Montanari che, da agricoltore qual’è, si è legato di amicizia con Augusto, grande interprete di quel Nomadismo che caratterizza i nostri tempi, ma che è in cerca di nuove terre dove trapiantare il seme dell’umano. Questo “Giorno d’inverno” mostra due facce e due tempi, dove la fine e l’inizio, l’alba e il tramonto, l’alfa e l’omega si danno la mano. Grazie, Andrea, per la bella e vivida emozione che mi dai.
Grazie a te, carissimo amico, per questo tuo commento davvero lucido e vibrante di autentica umanità. Parlando con Lenin Montanari, che a suo tempo abbandonò gli studi per il lavoro dei campi, ecco il mio percepire qualcosa, credo in profondità, di quel mondo che il nostro poeta si porta dentro, e che esprime col suo particolare tocco di disarmante semplicità; quando scrive, ad esempio, una poesia come quella da me presentata (nella quale gli strumenti espressivi, tutt’altro che rozzi, risultano un tutt’uno con la naturalezza del canto). Un abbraccio.
Ovviamente ognuno associa i propri movimenti interiori dipanandoli col mondo in cui vive. Questo è quello che fa egregiamente il nostro Lenin con se stesso, con i suoi sentimenti e con la natura. E’ una poesia semplice e al contempo matura, dolce nella sua essenza poetica, legata alla natura che da sempre ci aiuta a restituire immagini e stati d’animo i (i bimbi, la neve, le spine, la brina ecc..) in maniera spontanea.
Il mondo contadino, come tutti sappiamo, non è più quello di un tempo. La tecnologia agricola ha cambiato tutto e spazzato via quei residui di civiltà contadina che ancora negli anni Cinquanta e Sessanta sussistevano nella nostra società e che oggi, perlomeno in Italia, sono ravvisabili in maniera fittizia soltanto in alcuni agriturismi o aziende che hanno come punto d’arrivo la bio-agricoltura e che al massimo, quando sono ben organizzati, possono soltanto restituirci ‘ l’idea’ di come si viveva un tempo. A mio avviso, ciò che sosteneva le basi della civiltà contadina era quello spirito di collaborazione, quell’unità, quello scambio spesso disinteressato di consigli che proveniva dall’affrontare insieme la sopravvivenza; e portiamo pure l’esempio che se una volta in un campo c’erano dieci lavoranti, che per forza di cose dovevano comunicare tra loro, posare la zappa e parlare o mangiare e fare’colazione’ insieme, oggi c’è un solo lavorante sopra a un trattore o sopra a una trebbiatrice, chiuso nella cabina magari con aria condizionata il quale, senza sforzo, magari annoiandosi, compie un sommesso andirivieni sui campi assolati… Ecco: Il cambiamento della società da contadina a società industriale, poi la tecnologia, ci hanno dato delle cose ma ce ne hanno tolte altre creando, ahimè, nella fattispecie della società contadina, un maggiore individualismo e la perdita di quei ritmi secolari che scandivano le giornate dei nostri avi. Ciò che non ci verrà mai tolto, si spera, (e la poesia di Lenin ne è testimone) è quel bisogno psicologico e intimistico che abbiamo della natura , quella capacità spontanea di osservare quei ripetuti miracoli per cui le dobbiamo rispetto..
Grazie, caro Roberto, per questo tuo lucido ed esauriente commento in merito alla poesia di Lenin e, soprattutto, riguardo al passato e al presente della civiltà contadina. Mi sembra che tu abbia fotografato egregiamente la noia con “clima” -abbreviazione di aria condizionata, nella pubblicità- così come essa sicuramente si manifesta nel lavoro odierno dei campi, spirito bucolico a parte. Davvero mi sono goduto questo tuo scritto, caro amico, per la capacità di distinguere fra ordo rerum ed ordo idearum; fra le cose come stanno realmente al giorno d’oggi e ciò che vibra nei sentimenti poetici che, più o meno validamente, affidiamo alla carta (bene, e su ciò siamo concordi, nel caso di Lenin). Un abbraccio.
Ti ringrazio per avermi indicato questa poesia. Direi che Lenin Montanari riesce a scrivere con disinvoltura, con semplicità disarmante, quello che tutti i poeti vorrebbero descrivere. L’amore, la passione, la natura in pochi semplici versi di grandissimo contenuto. Non a caso mi hai consigliato di leggerla e con piacere la commento.
Un abbraccio
Concordo pienamente con quanto affermi, caro Alessandro. C’è, a mio avviso, una grazia quasi pungente in questi versi schietti e autentici di un poeta -non mi stancherò di ribadirlo- ricco di sentimento ma tutt’altro che sentimentale. Un abbraccio.